ESG due diligence

Due Diligence aziendale ai fini della sostenibilità:

Raggiunto un accordo sul nuovo testo della direttiva

Alessia Leone, Sabrina Rigo
03/04/2024
ESG due diligence

Nel quadro delle politiche e delle strategie stabilite dall'Unione Europea per promuovere lo sviluppo sostenibile, il 15 marzo 2024 si è compiuto un passo significativo verso l'effettiva attuazione dell’European Green Deal e dei Guiding Principles on Business and Human Rights pubblicati delle Nazioni Unite. E’ stato infatti raggiunto un accordo tra i Rappresentanti permanenti degli Stati membri in seno al COREPER in merito al testo definitivo della Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD)[1], la proposta di direttiva che prescrive obblighi e responsabilità per le imprese in relazione agli impatti negativi sui diritti umani e sull'ambiente che derivino dalle proprie attività, dalle attività delle società controllate o coinvolte nella catena del valore aziendale.

Rispetto alla proposta originale presentata dalla Commissione Europea nel febbraio 2022, la versione emendata dal COREPER introduce numerose modifiche, le quali conducono ad una formulazione meno rigorosa della direttiva e più mitigata dei relativi obblighi.

Di seguito una sintesi delle principali disposizioni contenute nel nuovo testo e delle differenze introdotte rispetto alla formulazione precedente.

Campo di applicazione e imprese interessate

 

Uno degli interventi di maggiore impatto riguarda la limitazione della platea di imprese tenute all’applicazione della direttiva, che ad oggi si stima essere composta da circa 5 mila società.

Nella sua formulazione iniziale, gli obblighi previsti dalla direttiva interessavano imprese con un organico di oltre 250 dipendenti e con un fatturato netto mondiale sopra i 40 milioni di Euro, nonché alle imprese con dimensioni minori ma con fatturato anche in parte generato in settori specifici ad alto rischio (es. estrazione di risorse minerarie, produzione di tessuti, agricoltura ecc.). Con il nuovo testo tali soglie sono state innalzate ed è stato eliminato l’approccio per settori ad alto rischio, restringendo così il campo di applicazione a:

  1. società con più di 1.000 dipendenti[2] (in media) e un fatturato netto mondiale superiore a 450 milioni di euro;
  2. società che non superano i limiti dimensionali di cui al punto a) ma che sono capogruppo di gruppi che raggiungano tali soglie;
  3. società parte o capogruppo di un gruppo che abbiano stipulato accordi di franchising o di licenza nell'Unione in cambio di royalties con società terze indipendenti[3] che ammontino a più di 22,5 milioni di euro nell'ultimo esercizio finanziario, a condizione che il gruppo abbia avuto un fatturato mondiale netto superiore a 80 milioni di euro;
  4. società costituite in conformità alla legislazione di un paese terzo e che soddisfino una delle condizioni sopra illustrate (il cui ammontare previsto di fatturato sia stato realizzato nell’Unione)[4].

Il nuovo art. 2 della proposta di direttiva specifica inoltre che le società che eccedano i limiti di cui al punto a) e b) saranno obbligate solo se tale superamento si verifica per due esercizi consecutivi. Allo stesso modo non sono soggette agli obblighi imposti dalla direttiva le società che per due esercizi consecutivi non superino più suddetti limiti

Il testo introduce anche la possibilità di esentare la capogruppo dagli obblighi di due diligence quando la sua attività principale è la sola detenzione di azioni di operational subsidiaries, sempre che si dimostri che questa non prenda decisioni gestionali, operative o finanziarie che riguardino il gruppo o le sue controllate.

 

Gli obblighi

Per quanto attiene alle disposizioni che identificano gli oneri per i soggetti obbligati, le imprese interessate dovranno attuare specifiche fasi ai fini dello svolgimento delle attività di dovuta diligenza risk-based in materia ambientale e di diritti umani.

Come previsto dagli artt. da 5 a 11, il processo di due diligence si compone delle seguenti azioni:

  1. integrazione della dovuta diligenza nelle politiche e nei sistemi di gestione del rischio;
  2. identificazione e valutazione degli impatti negativi effettivi o potenziali derivanti dalle proprie operazioni o da quelle delle società sussidiarie e, se collegate alle loro catene di attività, da quelle dei loro partner commerciali;
  3. prevenzione e mitigazione degli impatti negativi potenziali e riduzione o cessazione degli impatti negativi effettivi;
  4. effettuazione di un coinvolgimento significativo delle parti interessate;
  5. istituzione e mantenimento di un meccanismo di notifica e una procedura di reclamo in caso soggetti terzi nutrano legittime preoccupazioni in merito agli impatti negativi effettivi o potenziali;
  6. monitoraggio dell'efficacia della propria politica e delle proprie misure di dovuta diligenza;
  7. comunicazione pubblica della dovuta diligenza espletata.

La Direttiva dunque, non richiede alle imprese interessate di non avere impatti negativi, laddove si richiederebbe alle stesse uno sforzo eccessivo, soprattutto in termini di gestione degli impatti indiretti causati da altri soggetti lungo la catena del valore: le disposizioni, infatti, obbligano in termini di impegno e di procedure ma non di risultati da raggiungere.

Coscienti di tale limite, i rappresentati in seno al COREPER hanno provveduto a mitigare gli oneri per i soggetti obbligati intervenendo sulla stessa definizione di “catena del valore” la quale, rispetto al dettato iniziale, non include più quelle attività dei partner commerciali generalmente più rischiose, quali quelle relative allo smaltimento del prodotto, sulle quali non sarà più necessario svolgere le attività di dovuta diligenza.

Gli obiettivi climatici e gli oneri connessi per le imprese

 

Durante le ultime negoziazioni per la modifica del testo, i rappresentanti degli Stati Membri hanno concordato la decisione di rafforzare le disposizioni relative all'obbligo per le aziende di impegnarsi attraverso un piano di transizione climatica per la mitigazione dei cambiamenti climatici in linea con l'accordo di Parigi.

Nello specifico, si richiede agli Stati membri di garantire che le imprese obbligate adottino e mettano in atto un piano di transizione volto a garantire, attraverso i migliori sforzi, che il modello aziendale e la strategia della società siano compatibili con la transizione verso un'economia sostenibile e con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5 °C in linea con l'obiettivo UE di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 (Regolamento UE 2021/1119).

Il piano di transizione così come previsto dal nuovo dettato normativo dovrebbe quindi comprendere:

  • obiettivi temporali per il 2030 e in fasi quinquennali fino al 2050, basati su prove scientifiche e comprendenti, se del caso, obiettivi assoluti di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di tipo Scope 1, Scope 2 e Scope 3;
  • una descrizione delle leve di decarbonizzazione individuate e delle azioni chiave pianificate per raggiungere gli obiettivi di cui sopra, compresi, se del caso, i cambiamenti nel portafoglio di prodotti e servizi dell'impresa e l'adozione di nuove tecnologie;
  • una spiegazione e una quantificazione degli investimenti e dei finanziamenti a sostegno dell'attuazione del piano di transizione;
  • una descrizione del ruolo degli organi di amministrazione, di gestione e di vigilanza in relazione al piano.

I contenuti dei piani saranno in questo modo allineati con la Direttiva UE 2022/2464, meglio conosciuta come Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e, per evitare di duplicare gli obblighi di rendicontazione, le imprese che rispettano la CSRD saranno esentate dall'obbligo di adottare un piano di transizione climatica secondo la CSDDD.

Responsabilità e sanzioni

 

Per quanto riguarda l’apparato sanzionatorio, ciascuno Stato dell'Unione dovrà istituire un'autorità di vigilanza incaricata di verificare la conformità agli obblighi previsti, la quale potrà collaborare con le altre autorità costituite a livello comunitario attraverso la Rete europea delle autorità di vigilanza, da costituire con atto della Commissione Europea.

Tali organismi avranno la facoltà di avviare ispezioni e indagini d’ufficio o su impulso di altri soggetti che presentino delle preoccupazioni fondate, oltre che di imporre sanzioni o di innescare il procedimento per il riconoscimento della responsabilità civile

Viene lasciata agli Stati Membri la scelta delle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in attuazione della direttiva, che dovranno consistere almeno in sanzioni pecuniarie basate sul fatturato netto della società e, se la società non si conforma a queste ultime, in pubbliche dichiarazioni circa la natura della violazione da parte della società responsabile.

Una delle principali novità del nuovo testo consiste nella fissazione di un tetto per l’irrogazione delle sanzioni pecuniarie: le disposizioni attuative dovranno infatti prevedere un limite massimo non inferiore al 5% del fatturato mondiale netto della società nell'esercizio finanziario precedente la decisione di ammenda (o del fatturato consolidato dichiarato dalla società capogruppo).

Per quanto attiene alla responsabilità civile delle società considerate, gli Stati Membri dovranno garantire l’attuazione di normative che regolino la responsabilità del danno causato a una persona fisica o giuridica, nel caso in cui:

  1. la società non abbia rispettato, intenzionalmente o per negligenza, gli obblighi relativi alla prevenzione degli impatti negativi potenziali e alla cessazione degli impatti negativi effettivi, e
  2. in conseguenza dell'inadempienza di cui alla lettera a), sia stato causato un danno all'interesse giuridico della persona fisica o giuridica tutelato dal diritto nazionale.

Un'azienda non può essere ritenuta responsabile se il danno è stato causato solo dai suoi partner commerciali nella sua catena di valore.

Al fine di non rendere eccessivamente onerose le nuove disposizioni, il testo stabilisce che si preveda un periodo minimo di cinque anni dal recepimento della direttiva in cui non è permessa la presentazione di richieste di risarcimento da parte di coloro che sono interessati dagli impatti negativi, fatte salve le norme nazionali di procedura civile.

 

Prossimi passi

 

L'ultimo passaggio dell’iter di approvazione della CSDDD consisterà nella votazione in sede plenaria del testo da parte del Parlamento prevista per il 24 aprile 2024, e successivamente la disciplina potrà essere recepita e attuata dagli Stati Membri.



[1] COM (2022) 71: Proposal for a Directive of the European Parliament  and of the Council on Corporate Sustainability Due Diligence and amending Directive (EU) 2019/1937.

[2] Il numero dei dipendenti a tempo parziale è calcolato su una base equivalente a tempo pieno. I lavoratori interinali e gli altri lavoratori con forme di impiego non standard, a condizione che soddisfino i criteri per la determinazione dello status di lavoratore stabiliti dalla Corte di giustizia, sono inclusi nel calcolo del numero di dipendenti nello stesso modo in cui lo sarebbero se fossero lavoratori assunti direttamente per lo stesso periodo di tempo dall'azienda.

[3] Il testo della direttiva specifica che, ai fini dell’applicazione della direttiva ad una società con detti requisiti, gli accordi di franchising o licenza debbano garantire identità, metodi e concept di business comuni.

[4] In tal caso lo Stato membro competente a disciplinare le materie oggetto della presente direttiva è lo Stato membro in cui la società ha una succursale. Se la società non ha una succursale in nessuno Stato membro o ha succursali situate in diversi Stati membri, lo Stato membro competente a disciplinare le materie oggetto della presente direttiva è quello in cui la società ha realizzato il fatturato netto più elevato nell'Unione nell'esercizio finanziario precedente l'ultimo esercizio.

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